Come avevo detto nei commenti alla recensione di un altro romanzo di Mason (Delitto a Villa Rose), questo romanzo a mio parere è decisamente migliore. È anche il più famoso del ciclo che ha per protagonista l’ispettore Hanaud. Esaminiamolo.

Innanzitutto, il punto di vista della narrazione non è affidato, come negli altri romanzi, al signor Ricardo, l’amico un po’ sciocco che spesso suscita nel lettore un senso di pietà per la pochezza delle sue facoltà intellettuali e che fa sembrare l’Hastings di Poirot un genio dell’investigazione. Qui il coprotagonista è un giovane avvocato inglese, Jim Frobisher, che viene spedito in tutta fretta in Francia, a Digione, dove una giovane ereditiera inglese, Betty Harlowe, è stata accusata da un parente escluso dall’eredità di avere causato la morte di sua zia, nonché madre adottiva. L’accusa sembra assurda, anche perché Waberski, il parente in oggetto, è un individuo losco e ha già tentato di ricattare Betty. Frobisher quindi è abbastanza sicuro di poter dissipare rapidamente le nubi che si affollano sulla testa della sua cliente. E un colloquio a Parigi con l’ispettore Hanaud, il famoso asso della Sûreté, sembra confermarlo. L’accusa di omicidio, secondo Hanaud, è campata in aria; ma gli farà comodo per giustificare ufficialmente la sua presenza a Digione, dove il suo vero scopo è indagare su un’ondata di lettere anonime che ha sconvolto la vita dell’alta borghesia cittadina. Ma quando i due arrivano in città, le cose cambiano. La scoperta di una freccia di origine africana cosparsa di un veleno non identificabile dalle normali analisi chimiche, presente nella collezione del defunto signor Harlowe e di un libro sui veleni nella biblioteca che ne descrive in dettaglio le proprietà portano Hanaud a concludere che, dopo tutto, la morte della signora Harlowe è stata davvero un omicidio. E i sospetti vanno ricercati in un ambito molto ristretto: Betty, la sua dama di compagnia Ann Upcott, lo zio Boris Waberski, forse con l’aiuto di qualche complice.

Hanaud indaga qui con teatralità tipicamente francese ma con logica ferrea: gli indizi sono messi quasi tutti a disposizione del lettore (tranne uno) e la soluzione è logicamente impeccabile. Jim Frobisher è un comprimario simpatico e che dà un contributo intelligente alle indagini, anche se rimane sempre indietro rispetto al famoso detective. Non mancano i momenti eccessivamente teatrali e sopratutto al meccanismo del whodunnit non giova il fatto che anche qui, come tipico di Mason, dietro le quinte ci sia all’opera un’intera banda criminale; ma l’identità del capo dell’organizzazione è lealmente indicata dagli indizi e il melodramma, per quanto a volte eccessivo, non raggiunge mai i livelli di insopportabilità di, per esempio, Delitto a Villa Rose.
Una nota di merito all’ambientazione; la descrizione della città di Digione è pittoresca e accurata. Se a qualcuno, dopo aver letto il romanzo, dovessero venire delle curiosità, posso dirgli che sì, da Digione nelle belle giornate si vede il Monte Bianco, che il bar dove Hanaud e Frobisher vanno a bere la loro birra è ancora in attività e che la torre di Filippo il Buono è tuttora visitabile ed è il punto panoramico più famoso della città.
(J.S. Moran)

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