Come scritto qualche giorno fa, ho da poco ascoltato una commedia radiofonica tratta da questo romanzo di Carr, trasmessa dalla BBC nel 1997. Mi sembra una buona occasione per parlare di questo romanzo (di cui si era accennato sul gruppo un paio d’anni fa), in genere un po’ snobbato sia dalla critica sia dagli appassionati, pur rientrando in uno dei periodi più fertili e felici della carriera di Carr; anzi, forse proprio per questo. In effetti è difficile che un libro, seppure buono, spicchi particolarmente quando si trova incastrato, nella sequenza di pubblicazione delle avventure del dottor Fell, tra due capolavori assoluti come Delitti da mille e una notte e L’automa, mentre nello stesso anno viene dato alle stampe un classico di Sir Henry Merrivale quale Il mistero delle penne di pavone e quel piccolo gioiellino che è Il terzo proiettile.
La trama prende spunto da una di quelle situazioni bizzarre che tanto piacevano a Carr; una scommessa tra due amici in base alla quale uno dovrà viaggiare dal Sud Africa all’Inghilterra pagandosi il viaggio in qualsiasi modo ma senza fare ricorso alle proprie floride risorse economiche. Christopher Kent, erede del patrimonio Kent e scrittore di gialli dilettante, accetta la sfida e ci riesce; arriva a Londra con un giorno di anticipo sulla data fissata per incontrarsi con i suoi amici (che hanno viaggiato lussuosamente in piroscafo). Il problema è che è rimasto senza un soldo e la prospettiva di passare 24 ore a digiuno non gli piace per nulla, ma il caso sembra offrire una soluzione al suo dilemma. Da una finestra dell’albergo dove l’indomani alloggerà la comitiva dei suoi amici cade un cartoncino di prenotazione di una stanza, la 707, che ne riporta il prezzo e le magiche parole “colazione inclusa”. È mattina presto, l’occupante della stanza probabilmente dorme ancora: Kent decide di tentare di scroccare una colazione. Il giochetto riesce, ma lo fa piombare in un pericoloso equivoco. Il portiere, credendolo l’occupante della stanza 707, gli chiede di entrare in camera per recuperare un prezioso braccialetto dimenticato da una precedente cliente. Kent non può fare altro che stare al gioco, ma quando viene fatto entrare nella stanza ci trova il cadavere di una donna. In maniera rocambolesca riesce a svignarsela e a recarsi dall’unico uomo in Inghilterra che possa aiutarlo; il dottor Gideon Fell.
La commedia degli equivoci che occupa i primi capitoli cede poi il passo a una rigorosa indagine con la comparsa sulla scena di Fell e del sovrintendente Hadley, che qui, quasi per l’ultima volta nei romanzi di Carr, lavorano insieme dall’inizio alla fine (sarà proprio a partire dal romanzo seguente che Hadley inizierà a occupare un ruolo sempre minore, con occasionali ritorni sulla scena). Le ambientazioni sono entrambe affascinanti; un lussuoso hotel nel cuore di Londra, un villaggio del Sussex con una dimora di campagna che confina con un cimitero. La figura dell’assassino è fantomatica quanto basta per dare il giusto brivido in stile Carr (anche se qui mancano gli elementi più sovrannaturali presenti in altri romanzi); un inserviente d’albergo senza volto, vestito con una divisa blu con i bottoni d’argento, che nel primo delitto si aggira nel cuore della notte nella suddetta dimora di campagna, mentre nel secondo si muove sotto le luci elettriche dell’hotel, visto ma non riconosciuto da nessuno. Le false piste abbondano e non manca nemmeno qualche tocco dello humour inglese caro a Carr, anche se qui Fell è molto contenuto e l’elemento farsesco è ridotto al minimo. Non manca nemmeno una delle classiche conferenze del dottore, che qui si esprime sulle meccaniche e l’estetica del romanzo poliziesco e sopratutto su uno dei temi preferiti dall’autore americano, ossia la bizzarria e l’improbabilità delle sue trame.
Le critiche al romanzo vertono principalmente sulla trama “gialla” e si concentrano principalmente su due punti; ne parlo in un apposito commento per evitare spoiler. Personalmente devo dire che a me questo libro piace. I punti deboli della trama ci sono e non vanno negati; ma un altro romanzo da tutti (e detto per inciso anche da me) considerato un capolavoro, L’automa, ne ha di ben maggiori. Credo che i critici siano stati ingiusti e che il suo status di libro “minore” tra le opere di Carr sia un po’ immeritato. Non siamo ai livelli del Cappellaio Matto, delle Tre Bare o dei Delitti da Mille e Una Notte, ma questo libro merita di essere letto e apprezzato, non fosse altro che per alcune scene memorabili, come lo spettacolare interrogatorio di Hadley a Sir Gyles, la magnifica “soluzione come sarebbe stata trovata in un romanzo giallo” di Fell e Chris Kent, la cattura dell’assassino nel cimitero e l’ultima volta che avremo occasione di visitare la biblioteca del dottor Fell al numero 1 di Adelphi Terrace prima che lo storico edificio (che comprendeva tra l’altro il Savage Club di cui Carr era socio) venisse demolito in una frenesia di speculazione edilizia alla fine del 1936.
Una parola sulla suddetta commedia radiofonica della BBC: ho trovato l’adattamento molto buono, fedele all’originale tranne che per alcune modifiche rese necessarie probabilmente dall’esigenza di limitare il numero degli attori e con discreta resa dell’atmosfera e dei dialoghi, tranne che per la scena finale della cattura, dove il mezzo radiofonico non riesce a trasmettere la giusta dose di adrenalina della concitata azione del romanzo.
In definitiva, quello che per Carr è “solo” un ottimo romanzo, ma che per molti autori sarebbe probabilmente, senza infamia, il picco di una carriera.
(J.S.Moran)