Negli anni ’30 il Detection Club, che raccoglieva i maggiori giallisti britannici dell’epoca, pubblicò alcuni romanzi scritti in collaborazione da un certo numero di membri, dove ogni autore contribuiva in sequenza con un capitolo (dei quali il più famoso è L’ammiraglio alla deriva, pubblicato anche come La strana morte dell’ammiragliocon Agatha Christie fra gli autori). Questo romanzo è un lavoro simile, tranne per il fatto che non tutti gli autori sono membri del Detection Club.
L’altra differenza fondamentale è che dopo il completamento del lavoro, il curatore, John Chancellor, decise di pubblicare non solo i capitoli scritti da ogni autore, ma anche gli appunti di lavoro, il canovaccio, e le osservazioni e i suggerimenti che ciascun autore lasciava per i suoi colleghi successivi. Questo lo rende molto interessante, ma significa anche che il libro è stato lasciato, per così dire, allo stato grezzo: non c’è quel lavoro di rifinitura della scrittura e di eliminazione delle incongruenze tra un capitolo e l’altro che veniva in genere svolto alla fine dal curatore o da chi per esso.

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Questo è evidente nella grande differenza di stile fra i capitoli e anche nelle scelte relative alla trama. Si parte alla grande con Dorothy L. Sayers, che propone una situazione magistrale, sia come trama sia come ambientazione: un pomeriggio cupo e piovoso in un paesino della campagna inglese, una stazione ferroviaria deserta fra l’arrivo di un treno e l’altro, un insieme di personaggi che suggeriscono possibilità interessanti. Freeman Wills Crofts si mantiene all’altezza, aggiungendo piccoli tocchi e sviluppando la storia verso interessanti possibilità. Valentine Williams introduce un ispettore simpatico e ragionevolmente intelligente. Purtroppo da questo punto in poi ogni autore inizia a tirare la storia dalla sua parte e la trama si sfilaccia. Ognuno ha evidentemente una sua idea su chi debba essere il colpevole ma chi lo segue spesso trascura allegramente quanto è stato scritto prima e introduce altri elementi, spesso in conflitto con quelli precedenti.
Per questa ragione, è difficile giudicare il romanzo come un libro completo. Da questo punto di vista il romanzo è piuttosto mediocre (in particolare, è assolutamente poco convincente, secondo me, la scelta del colpevole effettuata nell’ultimo capitolo). Per chi vuole invece avere un’idea di come lavoravano i bravi giallisti degli anni ’30 (e anche quelli meno bravi) il libro è una testimonianza storica importante.
Ovviamente, quando lo lessi per la prima volta, mi feci un’idea personale di come avrei scritto io l’ultimo capitolo e di chi sarebbe stato il colpevole…
(J.S. Moran)

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